Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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La costruzione dell´équipe e organizzazione a rete dei servizi territoriali. L.Boscolo


La costruzione dell’équipe e organizzazione a rete dei servizi territoriali

Loredana Boscolo

 

Per tutti buona fortuna
Sempre avanti
Alla ricerca di quelle concrete utopie
che ci faranno rincontrare
là dove meno l’aspettiamo
in momenti intensi,
attimi di calore,
emozioni pensate,
di un ECRO che si ritrova
ad un altro e insospettato giro di spirale
Arrivederci in questi luoghi
E in questi tempi
Noi ci saremo
Aspettateci

Per la Commissione C.I.R.
 Leonardo Montecchi


Nel momento in cui questi luoghi e questi tempi si sono concretizzati in questo Congresso Internazionale qui a Madrid sul “Attualità del Gruppo Operativo”, mi sono sentita “presa” da un VORTICE di emozioni, immagini, corpi, affetti, luoghi geografici e mentali, vicissitudini di vincoli vecchi e nuovi che hanno indebolito o rafforzato appartenenze e identità.
La difficoltà nel mettere a fuoco un pensiero organizzato e lineare su un flusso–percorso di oltre vent’anni. Un ECRO, che ha preso corpo, nei suoi movimenti manifesti e latenti, nelle concezioni teoriche e nelle pratiche operative transitate per diversi gruppi e istituzioni: dal C.I.R (Centro Internazionale di Ricerca) all’Istituto Internazionale di Psicologia Sociale Analitica, dai gruppi di Formazione e di Supervisione, alla mia esperienza professionale nell’istituzione di appartenenza, nell’Azienda Socio Sanitaria di Chioggia (Venezia).
Ho pensato che oggi, sarebbe stato utile un confronto sulla tematica de “La Costruzione dell’équipe e organizzazione a rete dei servizi territoriali”.
Perché costruire l’équipe implica un passaggio necessario che non si può dare per scontato, in cui un raggruppamento di persone con differenti professionalità devono costituirsi in un gruppo di lavoro o un’équipe.
Inserendo nel divenire o nel farsi équipe, anche gli aspetti latenti in gioco nel vincolo gruppo-istituzione (la gerarchia, le mansioni, il potere, il denaro, la dipendenza istituzionale interna ed esterna e la sessualità). Intendo dire  che costruire l’équipe sarebbe il presupposto di base o il PRE-COMPITO, come direbbe Bauleo, per “imparare ad apprendere gruppalmente una metodologia di lavoro”, pertinente a nuovi modelli organizzativi che rispondono a due livelli:
1. alla complessità del campo di intervento;
2. alla possibilità di riflettere sulla propria implicazione istituzionale.
Se pensiamo che il compito del servizio pubblico dovrebbe essere quello di promuovere la salute e il benessere di una comunità e che questa, (la salute), viene definita dall’OMS come il processo che permette alla popolazione di aumentare il controllo dei fattori che determinano la salute al fine di promuoverla e sostenerla. Tale definizione indica che lo stato di salute di una popolazione dipende da variabili genetiche, ambientali, sociali ed economiche ma anche dalla facilità con cui i cittadini accedono ai servizi socio-sanitari di alta qualità.
L’alta qualità è data nei servizi territoriali, dalle possibilità di lavorare in un modo integrato, soprattutto in alcune aree di specifica attività: (area materno-infantile, disabilità, anziani, tossicodipendenze, salute mentale).
Per raggiungere quella che viene definita alta qualità si dovrebbe realizzare un lavoro di équipe in cui i professionisti si parlano tra di loro sulle problematiche che devono affrontare ed operare in un modo integrato al fine di costruire nuove opportunità di sviluppo e di qualità della vita.
Questo mi è apparso chiaro nel momento in cui mi sono dovuta occupare in qualità di Responsabile dell’Unità operativa Handicap, delle richieste soprattutto assistenziali delle persone disabili e delle loro famiglie. Non era chiaro né l’ambito di intervento, né in particolare chi era il “Soggetto dell’intervento”: la persona con disabilità (fisica, psichica, psico-fisica o sensoriale), il gruppo famiglia o i pregiudizi sociali della comunità. Come declinare nell’operatività, la nozione base di Emergente: Il disabile è l’emergente del gruppo familiare! Dobbiamo considerare che le “classificazioni” definiscono solo l’involucro delle problematiche delle quali ci dobbiamo occupare. Fondamentale è mettere un dispositivo che “interroghi” le Domande di richiesta di aiuto dei disabili e delle loro famiglie, per far emergere gli aspetti latenti o cristallizzati dei vincoli patologici per cui quello che gli utenti chiedono non sempre è quello di cui hanno bisogno per avviare un processo di cambiamento, generalmente gli utenti chiedono quello che immaginano venga loro offerto da un servizio o da una istituzione.
Nell’articolo: “I processi psicoterapeutici a proposito della domanda e della psicoterapia nell’Istituzione Pubblica Marta De Brasi dice: “ la formulazione della domanda include elementi che iniziano ad essere considerati come parti essenziali della stessa. Basaglia diceva che l’offerta istituzionale ad una data popolazione, trascorso un certo tempo entrerebbe a far parte del nucleo costitutivo della domanda che la comunità rivolge alla stessa istituzione”.
COME e CHI analizzerà questa domanda, e con quale schema di riferimento ne farà l’analisi e la lettura, organizzerà l’offerta e proporrà le diverse strategie di intervento.
Possiamo dire che il ventaglio di “possibilità di offerta” dell’istituzione pubblica dipenderà dalle risorse professionali e territoriali, le quali articoleranno la domanda dell’utente in una strategia di presa in carico.
Da qui l’INELUDIBILITÀ dei vincoli tra domanda e offerta e gruppo-istituzione.
Per far fronte a questo passaggio, è necessario avere uno schema di riferimento concettuale operativo comune. Bisogna passare da una logica del lavoro individuale a una situazione d’équipe, questo passaggio comporta una profonda revisione non solo dei modelli professionali e degli schemi operativi ma anche dei contesti in cui lavoriamo.
Quindi deve esserci una trasformazione istituzionale organizzativa tale che se da un lato c’è bisogno di elaborare i diversi schemi di riferimento degli operatori, dall’altro è necessario elaborare quella che si potrebbe definire: “la dipendenza simbiotica istituzionale”. Tante volte l’identità professionale è assorbita quasi totalmente dalla funzione che ciascuno di noi svolge nell’istituzione di appartenenza, ecco perché risulta fondamentale analizzare il vincolo dell’essere in “ruolo” in un servizio pubblico.
Sappiamo che nelle istituzioni gli eventi accadono, non sono pensati. Pensieri collettivi si danno per scontati e sono tacitamente condivisi dall’istituzione. Di fatto le istituzioni si comportano in base a regole, norme rigide e definizioni che seguono maggiormente la legge della fisica piuttosto che quella delle relazioni umane e delle finalità per le quali le istituzioni erano state pensate. Esempio tipico è la fretta, l’urgenza, la negazione degli spazi e del tempo per pensare e per comunicare.
Quindi bisogna pensare ad una strategia che ci permetta di utilizzare e applicare metodi e strumenti della Concezione Operativa Di Gruppo e le conoscenze sulla teoria e le pratiche di gruppo per poter così ripensare ai propri compiti ed elaborare la propria implicazione controtransferale con l’utenza e transferale con l’istituzione al fine di creare delle “condizioni di possibilità” verso un cambiamento di organizzazione e una diversa modalità operativa centrata sul compito.
La costruzione dell’équipe passa necessariamente attraverso la delimitazione di uno spazio, la definizione di un tempo e un ritmo di percorsi formativi per imparare ad apprendere una metodologia di lavoro in équipe.
Dal 1999 ad oggi nella nostra Azienda Socio Sanitaria i percorsi formativi sono stati tre, i primi due rivolti ad operatori socio sanitari dei servizi territoriali, dei Comuni e delle cooperative sociali. Numerosi operatori hanno avuto la possibilità di partecipare ad un processo di apprendimento-cambiamento, estendendolo a Istituzioni diverse dall’Azienda. Il modello didattico è stato quello di informazione-gruppo coordinato con tecnica operativa.
La partecipazione al terzo percorso è stata allargata agli operatori ospedalieri (medici, infermieri ed alcuni primari di reparto) la metodologia di lavoro è stata la stessa inserendo però due variabili: la prima è stata la realizzazione di gruppi ampi o assemblee gruppali, la seconda variabile ha previsto che l’équipe della coordinazione non fosse esterna all’istituzione ma formata da operatori dell’istituzione stessa. Va precisato che entrambi i coordinatori hanno potuto sostenere e sopportare questa funzione sia per la “forte” formazione gruppale e analitica sia per la possibilità di operare una dissociazione funzionale.
Interessante è stato che si è potuto discriminare sul piano istituzionale, la differenza di ruolo e di funzione tra leader e coordinatore. Il leader o responsabile di servizio ha il compito istituzionale di portare avanti una organizzazione, istituita dalla gerarchia amministrativa sul piano manifesto. All’interno del gruppo il leader è espressione della struttura gruppale, che assegna a seconda della sua dinamica diverse forme di leadership (dell’oggettività, dell’azione, della razionalità o del sabotaggio).
Invece la funzione del coordinatore non è quella stabilita dall’organigramma istituzionale, la funzione del coordinatore di gruppo deve avere una formazione specifica ed ha il compito di mantenere il setting e interpretare le resistenze, le ansietà e gli stereotipi nel vincolo gruppo-compito.
Intrecciato ai percorsi formativi si inseriva lo spazio della Supervisione Istituzionale , questo spazio ha favorito l’elaborazione della nostra implicazione in gioco nella relazione tra operatori, tra operatori e utenti e tra gruppo e istituzione, cioè quegli aspetti controtransferali legati all’impatto istituzionale sul legame terapeutico.
Questi spazi hanno facilitato la costruzione di una rete operativa di comunicazione tra gruppi e istituzioni diverse nella presa in carico di situazioni complesse da parte dell’equipe, situazioni individuali, gruppali o istituzionali che necessitavano di un intervento della rete dei servizi territoriali.


Un breve esempio di situazione complessa
La famiglia di Luca aveva fatto una richiesta di inserimento in comunità residenziale agli operatori dell’Unità Operativa Handicap, perché Luca veniva dimesso dalla struttura privata residenziale per minori. Era stato inserito 10 anni prima, all’ età di 7 anni d un medico su richiesta delle insegnanti della scuola elementare e dalla famiglia. Luca presentava problemi di comportamento violenti e incontrollati sia a scuola che in famiglia, inoltre aveva crisi epilettiche e un ritardo mentale di tipo medio, tale da compromettere gli apprendimenti.
La famiglia presentava una scarsa tenuta nella gestione dei conflitti e delle ansietà che emergevano a causa del comportamento disturbato del figlio.
La madre era una paziente con patologia psichiatrica, il padre inconsistente nella sua funzione, la sorella maggiore di Luca una adolescente sovraccarica di responsabilità e incombenze familiari.
In questa situazione abbiamo operato in una organizzazione a rete. Sono stati coinvolti gli operatori dell’Unità Operativa Materno infantile, l’Unità Operativa Handicap, il Dipartimento di Salute Mentale e un’associazione di volontariato.
Delineata la strategia dell’intervento e definiti i termini della presa in carico da parte di CHI e COME si è proposto la presa in carico terapeutica di Luca e del gruppo familiare.
La proposta di frequentare un Centro Occupazionale Diurno e attività ricreative e sportive organizzate dall’associazione di volontariato.
L’offerta articolata su questi ha permesso piani e la gestione operata da un’équipe di lavoro trasversale ha TRASFORMATO la richiesta iniziale di Istituzionalizzazione in un nuovo Inserimento nella comunità di appartenenza.
Una modalità organizzativa a rete, nata dalla pratica operativa territoriale, rispondendo in un modo efficace-trasformativo e produttivo alle domande che ci vengono formulate dagli utenti.
Quando parlo di rete vorrei precisare che intendo riferirmi alla pratica operativa dei servizi territoriali e non della rete informatica.
Quando l’organizzazione a rete dei servizi territoriali funziona mette in gioco tra gli operatori in relazione al compito, nuove appartenenze e identità personali e professionali, sviluppando forme di cooperazione verso nuove strategie per la presa in carico dell’utente del gruppo familiare ecc.
La circolazione dell’informazione genera pensieri, legami e significazioni diverse dal compito, che a sua volta produce un schema di riferimento comune e una nuova comunicazione. Questo apprendimento gruppale o “collettivo pensante” crea un “Contesto Comune” favorendo una mentalità nuova tra gli operatori e una cultura dell’organizzazione a rete dei servizi territoriali più flessibile e creativa.


BIBLIOGRAFÍA

Marta De Brasi: I sintomi della salute Psichiatria sociale e psicoigiene. Pitagora Editrice Bologna.
Armando Bauleo: Psicoanalisi e gruppalità . Borla (2000).
José Bleger: Psicoigiene e Psicologia Istituzionale. Loreto Lauretana (1985)


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